giovedì 2 ottobre 2014

Servi della gleba

I nostri avi
nomadi e girovaghi
furono illuminati in qualche modo
da qualche strana idea nascosta

capace di fermare
quel lungo peregrinare
spesso senza meta
e col rischio d'imboscata addosso,

non so se fu Demetra
o Cerere o Iside
a dare all'uomo il seme
per celarlo in suolo e scomparire

dalla morte di questo piccolo granello
arbusto o pianta
cresce con il tempo
assecondando le sue vesti

alle stagioni in corso,

grande meraviglia
ragione intrinseca
di come il cosmo  crei gratuitamente
e poi  allo stesso tempo distrugga,

nessun uomo
può vivere senza l'alimento
meglio fare scorta di pianta salutare
che pascolar gregge che muore,

il tempo ha dato ragione
a questa grande innovazione una sicura
allontana l'incertezza della scarsità aumentando dote,

di frutti e grano e cose
ce ne sono in abbondanza
ogni uomo ha diritto per natura
all'alimento per sopravvivenza,

l'uomo stesso essendo assai geniale
ha reso questo dono suo personale
dimenticando l'origine e il senso
di una natura che dona e prende

gratuitamente

e cosi che piano piano
ai giri di migliaia di clessidre
alcuni si ritrovano proprietari
e altri schiavi

per  nutrire
se stessi e gli altri,
un' acuta distrosione
del linguaggio universale

fame e sete
diventano man mano
appannaggio
di un numero sempre maggiore di persone,

questa condizione
ha uno scopo ben preciso
la necessità del prossimo
crea la ricchezza del suo simile.

Quest'infame condizione
giunge invariata
fino ai nostri giorni
nonstante i tentativi

di matematica e tecnologia
di debellar per sempre
lo spettro del bisogno necessario
l'avidità distrugge il mondo ogni giorno,

simile ad un serpente
che si nutre di se stesso
più ingoia e più ha fame
giungerà il momento

di essere arrivati al fondo
dove l'avida bocca
dovra nutrirsi di se stessa
e poi crepare inevitabilmente,

in questo contesto s'inserisce silenzioso
il mondo delle braccia da lavoro
un tempo erano nostri conterranei
adesso giungono da paesi assai lontani,

la dinamica non è cambiata
10 ore di lavoro
per un pezzo di pane
a cui si deve aggiungere

una parcella quotidiana
al caporale di comanda
senza il quale non puoi attingere
a quella risorsa naturale che è già tua,

donne dalle braccia gonfie
e i visi segnati dal sole
cantano nei campi estesi
ignorando la fatica

sono loro che parlano alle piante
sono loro le padrone
in quel momento ogni istante
cambia il corso del tempo

una canzone in coro
rincuora il malumore
e rende disponibile e franco
anche il silenzioso,

una fratelanza assunta dal dolore
dalla fatica di mestiere
e dal contatto con la terra
dove ognuno nasce e poi muore,

il principale chiuso nell'ufficio
ripete i conti per far bilancio positivo,
e taglia e toglie dove ricavo non produce
immagina di essere un dio

e il mondo ai suoi piedi
ogni appezzamento è appetibile
il contado impoverito è costretto a vendere
per non fallire

altri affamati
in senso bilaterale
aver fame di pane o di soldi
sono la stessa cosa

anzi una differenza esiste
nel primo caso
la pancia si gonfia
e quindi tocca smettere
 
nel secondo è più difficile
far penetrare l'idea di qualche sazietà
la fame di danaro
crea ancor più fame di pria

povero signore ricco
lo compiango
ha quasi tutto
ed è ancora  bisognoso,

gli attimi sono uguali per tutti noi
cosi anche le ore
ei mesi e gli anni
finita la stagione delle piogge,

tocca fare i conti col beccamorto
una cassa in lengo d'acero
o in frassino non aggiunge nulla
al percorso a tempo stabilito,

perchè la natura

gratuitamente offre
e gratuitamente prende
l'unica speranza è nel ciclo
che da cosa nasce sempre cosa

per sempre.


giuseppeciaravolo


Nessun commento:

Posta un commento